
Situato nel centro storico, alle spalle del bellissimo duomo, il museo di archeologia urbana Giuseppe Fiorelli di Lucera, raccoglie reperti che testimoniano la ricchezza del territorio lucerino.
Il museo è ospitato nel settecentesco palazzo nobiliare De Nicastri- Cavalli. Questo venne adibito a museo solo dal 1934. Precedentemente (1906) le opere erano esposte nei locali a pianterreno del palazzo del comune (Palazzo Mozzagrugno). La sede venne spostata quando, all’aumentare della collezione grazie a donazioni e al senso civico dei privati, si aggiunse il legato testamentario del sindaco Giuseppe Cavalli che donava alla cittadinanza il palazzo De Nicastri.
A seguito del nuovo allestimento, il museo venne intitolato all’archeologo Giuseppe Fiorelli, di origini lucerine e promotore degli scavi archeologici di Pompei nonché inventore dei calchi a gesso utilizzati per ricalcare le forme delle vittime del Vesuvio.
Il museo
Nella splendida dimora nobiliare, si possono osservare reperti che abbracciano un ampio spettro temporale. Se al piano zero possiamo vedere la ceramica dauna, e le influenze che questa ha subito grazie ai contatti con la cultura greca, al primo piano ci troviamo, già dalle prime sale, di fronte ad uno dei periodi più floridi per la città di Lucera: il periodo romano.
Spicca, per quantità e qualità di materiali, la sala con le terrecotte votive ritrovate sull’altura del Belvedere. Tra le opere di maggior rilievo estetico sicuramente da annoverare il busto di Proserpina e la testa di Atena (o forse Venere Italica).
Mosaici e Federico II
Monumentale, poi, (m 10,40×4,75) il mosaico delle terme del II secolo d.C. rinvenuto in piazza Nocelli nel 1899, al quale si alterna la sala con il “salotto Cavalli“, arredato in stile neoclassico con riflessi rococò, decorato con tappezzeria di seta inglese e ceramiche di Capodimonte.
Notevole anche il settore medievale, dove sono custoditi sia reperti identificativi del mondo federiciano, sia della colonia saracena voluta da Federico II nel 1223. Abili arcieri ed artigiani, i saraceni produssero ceramica sia fine che da tavola e ricostituirono il tessuto sociale della Sicilia che furono costretti ad abbandonare.
In continuità con queste sale troviamo quelle che ospitano il periodo angioino e, quindi, il ritorno della cristianità, la cacciata dei saraceni e la ricostruzione (sulla moschea) della cattedrale.
Da non sottovalutare, poi, la collezione numismatica (costituita da un primo fondo con monete e calchi della città, si arricchì nel 1905 grazie alla donazione della famiglia Prignano) e la cucina d’epoca, usata fino allo scorso secolo.
Non solo un museo, ma un segno della volontà civica di salvaguardare il bene pubblico.
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